F. Dostoevskji, Memorie dal sottosuolo
Gli sorrisi e distolsi lo sguardo a notare le lunghe pareti bianche della corsia. Sentivo lo sferragliare del carrellone dei pasti in arrivo nel corridoio e mi allontanai dal letto per dare un’occhiata: l’infermiera si avvicinava con il suo sostanzioso carico di cibi.
Ritornando dove giaceva il ragazzo, diedi una veloce occhiata al televisore perennemente acceso sul muro. “Ti lamenti, solo perché non sai quanto sei prossimo alla tua felicità!”, dissi al ragazzo, andandomene a respirare un po’ di aria fresca fuori dal reparto di psichiatria.
Chi bollasse dette parole come le esternazioni di un povero malato rischierebbe di non percepire la chiarezza della sua “ricetta per la felicità“.
Quante volte abbiamo sentito le persone dichiarare che per essere felici “basterebbe così poco“, senza mai essere in grado di specificare in cosa diavolo consista quel poco?
Non aiuta, da questo punto di vista, la vastissima scelta di libri e libelli che confezionano ricette per la felicità al ribasso il cui messaggio un po’ grossolanamente potrebbe essere racchiuso nella generica formula
“Fermati ad annusare i fiori e quando lo fai rifletti su quanto sei fortunato ad avere ancora un naso per farlo”.
E certamente chi si sente in grado di trasformare la teoria in prassi potrà sostenere quanto questo atteggiamento funzioni.
Per chi invece come noi nutre il dubbio che non possa esistere una soluzione così semplice alla dilagante insofferenza verso la vita e voglia provare a tutti i costi a sé stesso e agli altri che a tutti gli effetti la felicità non è raggiungibile (e per questo bisogna dannarsi nella sua miserabile quanto inutile ricerca), questo piccolo capolavoro di tagliente ironia non è una lettura consigliata.
Perché sfogliando una ad una le sue pagine, questo libello mette in luce e ridicolizza tutti i nostri sforzi per rendere la nostra vita un miserabile gioco al massacro di noi stessi e degli altri che, per loro sventura, ci stanno attorno.
Ed è un viaggio entusiasmante da compiere, perché ci costringe a guardarci allo specchio e a provare per noi stessi un po’ di sana tenerezza, lo stesso sguardo con cui si potrebbero ammirare certi giochi dei bambini, quando al riparo nella loro cameretta stanno, nella loro immaginazione, salvando la terra da misteriose minacce aliene.
Come non citare le parole dello psicologo Alan Watts a questo punto, il quale ci ricorda come la vita sia essa stessa un gioco la cui prima regola è:
“Questo non è un gioco, questa è una cosa dannatamente seria”?
Il libro è scritto in un linguaggio semplice, chiaro. Watzlawick sa trattare argomenti di crescente complessità come fosse il gioco di un bimbo: del resto non potrebbe essere altrimenti per un uomo che ha masticato i dolori e le sofferenze delle persone e praticato psicoterapia per oltre quarant’anni della sua vita.
Non ci si faccia ingannare dall’apparente semplicità del suo testo: come l’esperto artigiano sa praticare la sua arte compiendo pochi, semplici gesti, allo stesso modo l’autore distilla in cento pagine la saggezza di una vita di lavoro spesa ad aiutare gli altri.
Perché come diceva Einstein, se non lo sai spiegare in maniera semplice, allora non lo hai capito abbastanza.
https://www.youtube.com/watch?v=H9ckq9hhpy0