Ma dove vai se l’Autostima non ce l’hai?

Riassunto

Autostima. Se ne sente parlare in continuazione e molte persone si fanno il cruccio di non averne abbastanza. Ma è davvero questo il punto, oppure possiamo guardare alla questione da un punto di osservazione differente?

Autostima, che cosa c’è di più importante di avere una buona autostima? Ce lo sentiamo ripetere da più parti. Ma se oltre all’autostima fosse importante saper stimare la propria valutazione della nostra autostima?

Critica. Criticare. L’ho cercato sul vocabolario etimologico. Proviene dal greco antico κριτική, kritiké, che letteralmente significa “arte del giudicare”. Mentre giudicare proviene dal latino iudicare, derivazione di iudex, giudice. 

Morti i greci ed i latini, arriva Kant che ci spiega con la sua “Critica della ragion pura” che le cose possono diventare anche più interessanti, quando in un trattato composto di soli sei tomi ci illustra come la totalità della vita mentale sia composta di un’unica attività: giudicare, attribuire un valore a tutte le “cose”, siano esterne come interne a noi stessi.

Il vocabolario Treccani riporta la seguente definizione del termine autostima:

Considerazione che un individuo ha di sé stesso. L’autovalutazione che è alla base dell’autostima può manifestarsi come sopravvalutazione o come sottovalutazione a seconda della considerazione che ciascuno può avere di sé”.

Semplice, giusto?

Ci si sottovaluta, ovvero ci si sopravvaluta. E ci sono criteri oggettivi ai quali ancorare detta valutazione, pertanto è assolutamente immediato separare gli uni dagli altri. Tra l’altro, se qualcuno volesse farci caso, ai signori della Treccani è sfuggito un dettaglio. 

Perché loro dicono, ci si sottovaluta, ovvero ci si sopravvaluta. Io dico che logicamente dovrebbero esistere anche i corretti estimatori di sé stessi, i quali né si sopravvalutano, né si sottovalutano. Si valutano il giusto, insomma. E anche qui, esistendo dei criteri oggettivi su cui siamo tutti d’accordo, non è certo un problema distinguere i giustoautostimisti dagli altri. 

Ma quali sono i criteri oggettivi che ci permettono di misurare concretamente la nostra capacità di autostimarci? Ovviamente nessuno. Non esistono detti criteri, sfortunatamente e come al solito si naviga a vista. Secondo la ormai classica definizione di William James (1842-1910), l’autostima è il rapporto tra il sé ideale (ovvero come vorremmo essere) e il sé reale (ovvero come ci percepiamo attualmente).

Un’analogia potrebbe aiutare la comprensione. Se volessimo vendere una casa, possiamo chiedere ad un perito una stima dell’immobile. Detta stima varierà in base ad un numero variegato di fattori: grandezza dell’immobile, posizione geografica, caratteristiche del quartiere, qualità delle finiture interne, eccetera. Se noi volessimo vendere un castello pazzesco il quale tuttavia richiede una profonda ristrutturazione, la stima del valore del nostro castello sarebbe assai inferiore al valore che potrebbe raggiungere una volta ristrutturato. 

Potremmo dire quindi che questa differenza è espressione dei costi da sostenere per la sua ristrutturazione, ovvero la differenza tra il castello allo stato attuale ed il castello totalmente ammodernato. Se la stima del perito ci sembra troppo bassa, ovviamente possiamo sempre chiedere un secondo parere, poi un terzo e così via, ben consapevoli che il mercato saprà criticare le nostre scelte premiandoci con una vendita veloce oppure tenendoci in stallo per molti mesi. Con l’autostima le cose non funzionano molto diversamente, solo che in questo caso venditore, acquirente e perito sono la stessa persona.

Una via d’uscita

Per risolvere velocemente la questione ci si potrebbe limitare a dire: se mi sento bene con me stesso, allora ho un’alta autostima. A suffragio di questa semplificazione, gli psicologi ci dicono che per rimanere in uno stato di benessere è buona cosa avere un pregiudizio leggermente positivo verso sé stessi. 

Cioè, in pratica, vedersi un po’ meglio di quanto si è in “realtà”. Molto rumore per nulla, quindi. Se non fosse che negli ultimi decenni per un motivo o per l’altro abbiamo assistito ad un aumento vertiginoso delle richieste di “cura” per l’autostima, di corsi per “migliorare” l’autostima, eccetera. 

Sembra quasi che tutti debbano migliorare in autostima, come se il problema fosse quello di non “vedersi” abbastanza bene: meglio, di volersi a tutti i costi vedere meglio di quanto si è. Una sorta di “filtro bellezza” applicato alla mente.

Vedersi meglio per sentirsi meglio

Ricordate la definizione della Treccani di Autostima? Le persone possono sovrastimarsi o sottostimarsi (mai “giustostimarsi”). Ora, è evidente che ci troviamo di fronte ad un paradosso logico piuttosto interessante. Un paradosso che potrebbe a ben vedere, rendere sostanzialmente tutto il boogaboo sull’autostima una cialtronata pazzesca. 

Ma arriviamoci con calma. 

Come si è già detto, non esistono criteri oggettivi per stabilire se la propria autodiagnosi sia corretta oppure viziata da un autopregiudizio positivo oppure negativo. Non esistendo detti criteri oggettivi quindi osservabili è ragionevole dedurne che qualsiasi stima circa l’autostima sia vincolata ad un giudizio puramente soggettivo, quindi vincolata a sua volta dalla propria capacità di autostimare l’autostima. Le cose si complicano.

Soluzione semplice?

Dare la parola all’esperto. Un esperto, in quanto terzo, saprà certamente valutare la nostra capacità di valutare la valutazione di noi stessi. Corretto in apparenza. Perché  nel momento in cui riconosciamo che non esistono criteri oggettivi esterni, misurabili, attendibili ed affidabili, il problema si sposta semplicemente di livello aggiungendo la complicazione di dover stimare la capacità dell’esperto di stimare la capacità di stimare l’autostima di un’altra persona… In pratica, se volessimo affidarci puramente alla razionalità non vi sarebbe alcuna via di uscita. 

Per fortuna gli esseri umani logicamente compiono operazioni del tutto illogiche e irrazionali, ma assai ragionevoli al fine di semplificare e ammantare di senso il loro mondo, provare un certo benessere e sentirsi molto intelligenti nel farlo. 

Quindi prendiamo per buona la logica illogicità di far finta di credere che un’altra persona sia maggiormente al corrente di fatti che non sono fatti, ma per l’appunto opinioni. Opinioni di altri sulle opinioni che noi abbiamo su noi stessi.

Ca van sa dire, una cialtronata pazzesca che tuttavia ha almeno due pregi: ingrassare il portafoglio dell’esperto e permetterci di tornare a dormire i tranquilli sonni della ragione in tempi piuttosto ragionevoli, peraltro.

Perché concentrarci sul problema dell’autostima ci impedisce di comprenderne il suo elevato valore adattivo. Voglio dire, problematizzare l’autostima in termini di mancanza da colmare o di eccesso da regolare ci permette di prendercela col termometro invece che con l’influenza che causa la febbre.

Riflettiamoci un attimo. Ritorniamo al nostro caro William James:

AUTOSTIMA = SÉ REALE / SÉ IDEALE

Ne ricaviamo intuitivamente che per avere una buona autostima ci sono due strade maestre, di cui una comporta un ridimensionamento del sé ideale, mentre l’altra comporta un miglioramento della percezione del sé reale.

Viviamo in una realtà che ci dice che dobbiamo amarci ad ogni costo. Dobbiamo piacerci e basta, indipendentemente da chi siamo, da come ci comportiamo.

Interessante presupposizione, quella che dobbiamo amare noi stessi

Io dico che non è così. Perché mai dovremmo amarci ad ogni costo? E soprattutto, perché questo dictat produce un paradosso logico che al fin della fiera produce risultati paradossali per cui nel nostro sforzo di amarci ci troviamo sempre più insopportabili? Semplice. Perché a nessuno piace che gli venga detto cosa fare.  

“Mi amo perché devo amarmi” sa molto di matrimonio old style. Ma il vincolo del matrimonio con un’altra persona può essere sciolto dalle competenti autorità. Qui si parla di una persona che deve amare sé stessa: quali autorità competenti possono sciogliere il vincolo che ci lega a noi stessi?

Una bella gatta da pelare, non c’è che dire. Ma siccome per definizione il problema non è un problema se non può essere risolto, allora ecco una possibile strategia per una risoluzione dello stesso.

Volemose bene

Sì, esatto. Volemose bene senza il problema di doverci amare per forza. Troviamoci simpatici, magari. E, come in molte altre cose, ogni tanto mandarsi a quel paese può aiutare, come cantava Alberto Sordi). 

Trattiamoci con un po’ di riguardo, ma ricordiamoci che in fin dei conti non è che siamo tutta questa gran cosa, noi esseri umani. Persino il Papa, quando muore, viene sostituito da un altro Papa soggiogato al medesimo destino di sostituzione.

Pertanto, diminuiamo l’utilizzo sconsiderato del “filtro bellezza” ricordandoci che prima o poi se hai le rughe o la pancetta qualcuno le noterà. Che Dorian Gray è uscito dalla penna di Oscar Wilde e migliorando le foto non miglioriamo certo noi stessi, ma al contrario ci confrontiamo con uno standard inarrivabile che produce solo frustrazione. 

E magari a volte che ci baleni in mente la possibilità di permetterci un tale eccesso di hubrys da sentirci bene anche mostrando con coraggio noi stessi in vesti meno attraenti forse, ma più personali.

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